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04
Apr
12

Magnifica presenza. Questi fantasmi di Ozpetek

Voto: 5 (su 10)

È ossessionato dalla morte, Ferzan Ozptek, l’ha ammesso più volte. E su questa paura della morte, sul tentativo di esorcizzarla, ha costruito molti dei suoi film, da La finestra di fronte a Saturno contro, che è quello che l’affronta in modo più diretto. In Magnifica presenza, prende la Nera Signora da un altro punto di vista, quello della commedia. Pietro (Elio Germano) arriva a Roma con il sogno di fare l’attore, e intanto lavora di notte sfornando cornetti. Trova casa a Monteverde vecchio: è un appartamento d’epoca, appartenuto a una nobile, dal fascino molto rétro. Tutto, in quella casa, sembra avere una vita propria, ricordare il passato. Ma Pietro non può immaginare che in quella casa “vive” qualcuno. Presenze che, all’inizio, spaventano Pietro, ma che poi lo coinvolgono nelle loro storie, nei loro segreti.

È un Questi fantasmi alla Ozpetek, Magnifica presenza, o un The Others a Monteverde, se preferite. Ma noi preferiamo la prima definizione, perché il tono è leggero, divertito. Se il cinema di Ozpetek è sempre stato un misto tra commedia e mélo, qui inizialmente sembra convincere questo nuovo tono più da commedia, ma più misurata rispetto a quella comicità un po’ forzata che caratterizzava Mine vaganti. Qui Ozpetek sembrerebbe, almeno inizialmente, prendersi meno sul serio, e declinare, in chiave di commedia surreale, quei temi a cui da sempre tiene: l’importanza del passato e la sua influenza sul presente (La finestra di fronte), e quella delle persone che non ci sono più (Cuore sacro, Saturno contro e ancora La finestra di fronte). Oltre alla consapevolezza del proprio io e della propria natura: Pietro è omosessuale, ma forse è ancora troppo timido e chiuso per vivere fino in fondo la sua natura. Non mancano i marchi di fabbrica Ozpetek: le tavolate conviviali, i dolci, le musiche rètro e latine.

Ma questo tono così azzeccato della prima parte finisce per perdersi lungo il film. Non si capisce perché Ozpetek inserisca nel film altri toni e altri racconti, come quell’incursione nel mondo sommerso dei transessuali e del loro lavoro, che non si inserisce nella storia di Pietro e nel messaggio del film: il tono cupo e oscuro stride con il resto del racconto, e la scena culmina con un’improbabile e incomprensibile comparsa di Mauro Coruzzi, alias Platinette senza trucco, nei panni della badessa, una sorta di colonnello Kurtz a capo di chissà quale carboneria sconosciuta. Così come stridono i momenti della rivelazione del mistero legato alle presenze nella casa, con Pietro che, davanti a una vecchia attrice, capisce tutto grazie a un colpo di mano che schiaccia un insetto. Si tratta di cambi di tono e di sviluppi della storia poco comprensibili, che finiscono per allentare quell’atmosfera leggera che caratterizzava l’inizio del film.

Se nel ruolo di Pietro Elio Germano sembra una scelta azzeccata (è bravo nel raffigurare una fragilità diversa da quella, più rabbiosa, dei suoi tipici personaggi), sembrano in parte anche le “presenze” Giuseppe Fiorello, Andrea Bosca e Vittoria Puccini. Solo Margherita Buy sembra un po’ fuori luogo, donna troppo contemporanea nei suoi tic per sembrare una donna degli anni Trenta/Quaranta. Come avevamo scritto per Mine vaganti, ad Ozpetek non riesce quello che riesce ad Almodovar: trasformare l’eccesso in poesia, rendere l’assurdo verità. Così alcuni personaggi rischiano di ridursi a macchiette. Ozpetek sembra aver detto veramente tutto sull’omosessualità e sulla libertà di espressione, sull’importanza del passato, su cui ha girato degli ottimi film. Il risultato è che non ci commuove più, e che non ci diverte poi tanto. Nei suoi prossimi film il suo talento e la sua sensibilità potrebbero essere messi al servizio di storie e temi completamente nuovi.

Da non vedere perché: Ozpetek sembra aver esaurito il suo discorso. Sta cercando un nuovo tono, ma non ci commuove più, e non ci diverte poi tanto












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